sabato 30 gennaio 2010

Phalene II


La reclusione, il pallore, il silenzio.
Poi, il buio.
Un freddo pungente - ma non dall’esterno, anzi talvolta filtrava da certi spiragli invisibili una luce bluastra, priva di calore, utile solo a far sentire nostalgia – e la polvere come catrame da respirare giorno dopo giorno dopo giorno dopo giorno… (Anche se il tempo era ridotto a pura forma mentis, perché di certo quegli spiragli di luce non potevano far da meridiana o clessidra)
Si sforzava di contare i mattoni per non impazzire ma gli sforzi sembravano diventare vani quando le pareti tremavano e dopo nulla accadeva, allora crollava a terra come morta finché dopo ore incalcolabili riapriva gli occhi e le gocce di umidità le scivolavano ancora impietose sulle labbra dischiuse nel vano tentativo di catturare aria che non avesse già altre mille volte inspirato e ricacciato via disgustata da quel sapore stantìo
Ancora sveglia, ancora nello stesso luogo, poteva dirlo dai muschi che sentiva sotto le dita, sulle pareti, aveva dato loro nomi come se fossero stati bambini privi di voce e talvolta si immobilizzava all’improvviso nel sentire immaginari squittii, nella speranza inutile di trovare altri viventi in quei quattro passi che la separavano dalla parete di fronte
Il lastricato sotto i suoi piedi era bagnato, vi si formava una pozza d’acqua a cui lei attingeva  per sciacquarsi il viso, dipingendoselo in realtà col fango, ma come poteva accorgersene se non c’era luce abbastanza per specchiarsi…
Era viva, glielo ricordava il panico che sopraggiungeva a tratti come ondate di mare in burrasca contro una piccola barca solitaria, certe volte tentava perfino, saltando, di trovare appigli fra i mattoni discosti dell’unica parete circolare, ma quando il batticuore e il senso di soffocamento si facevano insopportabili si lasciava nuovamente cadere a terra, cercava di cantarsi una ninnananna, ma la gola era secca e non glielo permetteva così, nuovamente, dormiva, perché cos’altro avrebbe potuto fare…Senza sogni, non c’erano neppure incubi in quel limbo senza suoni, soltanto mostri che strisciavano nel buio e la attorniavano finché non riapriva gli occhi
Forse perché non c’era niente, niente che si potesse vedere o sentire, soltanto l’aria umida e l’assenza di luce, colori, suoni, vita…

Riaprì gli occhi ed era fuori, se ne accorse perché l’aria era gelida e più respirabile, e una leggera neve le si posava sulla pelle frantumandosi in microscopiche goccioline al contatto
Credette di essere cieca perché il buio non si rischiarava e non c’era, laddove avrebbe dovuto essere il cielo, neppure una sola stella, e tutto quello che riusciva a scorgere in ogni direzione era una distesa piatta ed identica di neve candida e immutabile
Lentamente riuscì a rimettersi in piedi e a muovere qualche passo, così dopo un paio di tentativi risoltisi con fallimentari cadute nella neve, riacquistò il controllo degli arti addormentati e si addentrò nella nebbia

finché, all’improvviso, la vide:
una luce
- fioca –
ma pur sempre luce

Avrebbe corso se le gambe glielo avessero permesso, ma ancora faticava a trascinarle con sé, così fu solo dopo molto tempo che riuscì a raggiungere la fonte della luce, un lampione, accanto a una panchina di ferro, desolatamente vuota…
Il freddo era troppo e ormai avanzava ginocchioni nella neve, raggiunse la panchina, e lì a fianco si accasciò… avrebbe voluto gridare, piangere, domandare quale peccato così grave avesse commesso per essere costretta a tale strazio, ma tacque, mentre una lacrima diveniva cristallo gelato appena scivolata sulla sua guancia
Si raggomitolò con le ginocchia al petto, pronta ad addormentarsi ancora una volta, mentre il gelo e il terrore di essere approdata in un inferno peggiore di quello a cui era scampata si impossessavano lentamente dei suoi pensieri, e intorno, il mondo intero, una scatola vuota, assisteva impassibile…





giovedì 21 gennaio 2010

03:36 Wednesday Night

10:15 On a Saturday Night
And the tap drips
Under the strip light
And I'm sitting
In the kitchen sink

Mercoledì, 03:36 aemme, quando la notte sta cedendo il passo all’alba e la città è un cimitero, solo Morfeo a sorvegliare col suo manto di stelle le finestre chiuse e il silenzio ovattato, opprimente, dell’umido limbo di vicoli e lampioni. Il respiro si fa cauto nell’aria greve, seguito da un brivido sospettoso, col timore che il minimo soffio possa risvegliare i mostri sopiti nelle ombre che ormai dominano. Le orecchie pulsano al silenzio che stride e rimbalza, sembra d’esser diventati sordi tutto d’un tratto, è come nascere all’improvviso in un mondo asfissiante senza vibrazioni, senza divenire: un eterno momento che non è passato né futuro, un oltretempo che vive solo negli occhi di chi lo guarda, immobilizzato, immerso nell’aria stagnante.
“I compagni di Morfeo”, potrebbero chiamarci, ma la verità è che siamo degli esclusi: vivere questo limbo è come restare a terra mentre la nave di tutto l’universo salpa, lasciandoci in quei luoghi che ci sembrano familiari, e sono invece solo gusci vuoti, carcasse di vita trascorsa e volata via, cimiteri senza corpi che attendono un nuovo ansito di vita da spegnere… L’aria umida si insinua indisturbata fra i miei capelli, e mi accorgo che sto fissando una feritoia da cui filtra una luce incandescente, vita che si espande flebile attraverso tende e veneziane calate. Potrebbe essere lontana una vita o soltanto pochi passi, non saprei dirlo in quest’assenza di dimensione, ma la sua presenza mi conforta in qualche strano modo anche da laggiù, ed è un po’ come se quella vita filtrasse, a distanza, anche dentro me. Avrei voglia di mettere la giacca, infilare le scarpe, e camminare al centro della strada, contare i passi e i battiti del cuore prima di arrivare ai luoghi che mi sono di giorno così familiari, avrei voglia di camminare su questo ponte di aria e buio per raggiungere quella finestra e, in silenzio, bussare con le dita.
Potrei scoprire una distrazione, soltanto una luce senza proprietari, o potrei forse trovare un compagno di insonnia, ma che importanza ha? Non c’è vento questa notte e tutte le luci prima o poi si spengono... qualcuno in casa, riemerso dai più reconditi anfratti della notte, si è svegliato, e col rumore io mi scuoto via dai miei pensieri così come dalle piccole gocce di nebbia che si sono accomodate fra i miei capelli.
Sono le 04:04, è l’alba ormai…

And the tap drips
drip drip drip drip...

Buonanotte, Noctambula.

[in sottofondo, una a scelta fra le ultime sei track di Boys Don't Cry dei Cure]